Appuntamenti e Rassegne

Storia post-unitaria, Giuseppe Ferraro presenta “Il Prefetto e i Briganti”.

Si è tenuta ieri sera sabato 7 Dicembre alle ore 17, per tentare di far chiarezza sul tema, presso la sala consiliare del Comune di Motta Santa Lucia, la presentazione de “Il Prefetto e i Briganti” edito da Mondadori/Le Monnier di Giuseppe Ferraro, dottore di ricerca presso l’Università di San Marino e Presidente dell’Istituto di Storia del Risorgimento Italiano Comitato provinciale di Cosenza. Ha introdotto, con una riflessione sull’opera, il prof Ezio Arcuri, ed a seguire c’è stato il diretto intervento dell’Autore che ha aperto il dibattito con i convenuti.

L’evento è stato organizzato dalla ProLoco di Motta Santa Lucia, la cui socia, Elena Mancuso, ha dato il benvenuto all’autore e a tutto il pubblico presente.

Il volume ha avuto numerosi riconoscimenti e premi come “Spadolini-Nuova Antologia” a Firenze, “P.P. D’Attorre” a Ravenna, “Troccoli Magna Graecia” e “Amaro Silano” in Calabria, anche la menzione speciale al premio “Sele d’oro” ed è stata tra le cinque finaliste nazionali dell’Opera prima SISSCO nel 2017.

Informazioni tratte da OttoeTrenta

Buona Lettura

Buona Lettura. Una Union Sacrée per la Pace e per la Rivoluzione. Il movimento dei giovani sovversivi meridionali contro la guerra (1914-1918)

In occasione dell’11 Novembre, data in cui nel 1918 è stato siglato l’Armistizio di Compiègne, per la nostra rubrica Buona Lettura suggeriamo “Una Union Sacrée per la Pace e per la Rivoluzione. Il movimento dei giovani sovversivi meridionali contro la guerra (1914-1918) di Daria De Donno.

Allo scoppio del primo conflitto mondiale l’adesione della gioventù patriottica e nazionalista alle spinte interventiste ha messo in ombra l’esistenza di un opposto fronte giovanile, antimilitarista e internazionalista, che dai mesi della neutralità e per tutto il periodo bellico tenta di dare forma a un articolato movimento dal basso contro la guerra, per la pace, per la rivoluzione sociale.
Il volume ricostruisce – con un taglio che, nel quadro di una narrazione più generale, privilegia la realtà meridionale – le vicende di una minoranza organizzata di giovani e in alcune congiunture di giovanissimi (appartenenti al mondo rurale e artigianale/operaio), che cercano di farsi interpreti e di mobilitare quella ‘maggioranza silenziosa’ che non trova altre voci, proponendo una dimensione alternativa a quella della retorica del sacrificio per la patria. Il progetto fallisce, ma lascia dietro di sé una significativa eredità valoriale che può essere colta, in una prospettiva di più lungo periodo, nel corso del Novecento.

Buona Lettura

Informazioni tratte da Mondadori Education

Appuntamenti e Rassegne

Insegnare il Risorgimento. Un percorso ad ostacoli?

Si è tenuto a Padova nei giorni 24-25 Ottobre 2019 presso il Museo della Terza Armata, il Convegno organizzato dall’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano – Comitato di Padova, con tema “Insegnare il Risorgimento. Un percorso ad ostacoli?”. Nei due giorni pieni di contenuti ed interventi ha partecipato anche il Presidente del nostro Istituto Giuseppe Ferraro con il suo intervento dal titolo “Insegnare il Risorgimento”: un’unità di apprendimento per le secondarie superiori sulla specificità dell’Italia Meridionale nel Risorgimento

Adriano Prosperi
Rassegna Stampa

Intervista ad Adriano Prosperi tratta da Repubblica.it

Ripercorriamo in questa intervista senza tempo ad Adriano Prosperi, l’importanza della figura dello storico studioso che viene, a torto, considerata sempre meno con il passare degli anni.

Dalla sezione Cultura di Repubblica.it del 29 giugno 2015. Intervista ad Adriano Prosperi del giornalista Antonio Gnoli.

Lo studioso: “Mio nonno mezzadro. Mio padre piccolissimo proprietario. Mai avrei immaginato di farcela. La Normale mi cambiò la vita. I miei ideali sociali erano in provincia: cercavo un riscatto a chilometro zero. Nella casa dove sono cresciuto c’erano ancora gli attrezzi da lavoro che sono scolpiti sulle cattedrali medievali. Allora i nostri nonni invecchiavano come alberi. C’era una fraternità che non esiste più”.

Con Adriano Prosperi ci incontriamo a Roma dove, ogni tanto, arriva da Pisa. È un viaggio solo un po’ più complicato di altri itinerari ferroviari. Ci viene volentieri. Grato a questa città di cui conosce il sostrato inquietante e l’eco che arriva da antichi secoli. Quando sacro e profano sembravano una mistura politica di una qualche efficacia. Prosperi svolge meravigliosamente il lavoro di storico, scavando nella prima modernità. In quel mondo, tra il Cinque e il Seicento, su cui la Chiesa stava per prendere il sopravvento. Senza mai riuscirci veramente. Gli chiedo che Italia ne sarebbe scaturita. Mi guarda. Rilassato, avvolto da un’eleganza asciutta, lievemente demodé: “Chi lo sa, certo un’Italia diversa da quella che abbiamo di fronte. Su questo mi pare inappellabile il giudizio di Machiavelli”.

Cosa disse Machiavelli?
“Che la Chiesa non possedeva sufficiente forza per unificare, ma aveva il potere spirituale per impedire ad altri di farlo. È un filo che tirandolo fino ad oggi spiega molte cose interessanti della nostra tragica debolezza di fronte agli altri Stati. È una tesi che mi ha portato numerose critiche sia da destra che da sinistra. Ogni tanto penso che avrei dovuto fare un mestiere diverso dallo storico”.

Si fa quello per cui ci si sente portati.
“In teoria è vero. Ma prenda me. Vengo dal mondo contadino. Mio nonno mezzadro. Mio padre piccolissimo proprietario. Mai avrei immaginato di farcela. La vita, però, può farti dei regali incredibili. Concorsi a una borsa alla Normale di Pisa che mi avrebbe garantito vitto, alloggio ed esenzione dalle tasse. Mutò la mia esistenza. Fino ad allora, i miei ideali sociali erano radicati nella piccola provincia: il maestro o, se proprio andava bene, il medico condotto in qualche paesino. Riscatto sociale a chilometro zero”.

Invece arriva a Pisa. Che ambiente trova?
“Fertile. La città aveva per me la stessa attrazione che avrebbe avuto Las Vegas per un giocatore di roulette. Fu incredibile. A 18 anni la vita è incerta e si può davvero riuscire a prendere il meglio o il peggio. Ho avuto fortuna”.

Non dà proprio l’idea di un Rastignac a Parigi.
“Molta timidezza ma anche determinazione. L’ostinata determinazione contadina”.

Che figure erano i suoi genitori.
“Una mamma molto cattolica e un padre comunista. Lo ricordo quando, giacca sulla spalla, partiva fischiettando diretto alla casa del popolo. Se non lavorava era lì che si faceva trovare. Infinite discussioni sull’Unione Sovietica annegate in un bicchiere di Chianti e una partita a carte. Poi, per degli episodi di stalinismo locale, uscì dal partito”.

Sarebbe interessante rileggere il consenso politico attraverso quei luoghi.
“Le due grandi istituzioni in Italia furono la Chiesa e le case del popolo. In mezzo non c’era molto altro”.

C’era la Normale di Pisa.
“Il mio ingresso fu in un mondo totalmente diverso”.

Chi furono i suoi insegnanti?
“Diciamo che la mia attenzione si rivolse soprattutto verso i colleghi più bravi. Il più importante dei quali – anche per l’amicizia che ci ha legato e ci lega – è Carlo Ginzburg. Poi c’era Claudio Baiocchi. Un matematico molto dotato che passava il tempo a giocare a poker. A un certo punto ricordo che comparve Francesco Orlando. Aveva qualche anno più di noi”.

Cosa faceva?
“Il lettore di francese. A un certo punto ci stupì leggendoci un suo lungo ricordo di Tomasi di Lampedusa. Aveva un forte accento siciliano e sembrava davvero spingerci a forza dentro a quel capolavoro di cui cominciammo ad avvertire gli echi di una terra che ci sembrò straordinaria”.

Quando dice “ci sembrò” a chi si riferisce?
“C’era Carlo Ginzburg che divenne molto amico di Orlando stimandone le grandi doti intellettuali e specialistiche. C’era Sebastiano Timpanaro, il maestro senza cattedra. Si sedeva in fondo all’aula ad ascoltare”.

Cosa stima di Carlo Ginzburg?
“È un grande storico, forse il più grande e non solo della nostra generazione. È uno sperimentale capace di muoversi con agilità ai margini delle discipline più diverse. La nostra amicizia si è riempita a tal punto di discussioni intellettuali, da farmi sentire spesso sotto osservazione. “Cosa stai facendo ora?”, era una sua frase ricorrente e lievemente inquisitoria”.

Cantimori fu maestro di entrambi.
“Non solo di noi due. C’era anche Adriano Sofri. Attendevamo i suoi seminari con religioso timore. Non era neppure sessantenne. Ma sembrava già un vecchio con il pizzo e gli occhiali. Cappello in testa, cravatta nera da anarchico. Giacca a mezza gamba. Scendeva dalla carrozza del fiaccheraio con due borse cariche di libri e lentamente si avviava verso l’aula. Pochi gli studenti. Un anno – dopo aver abbandonato il Pci – decise di fare un seminario su Nietzsche e alla fine annunciò che avrebbe messo ai voti due possibili corsi: uno dedicato al modo in cui lavorava Marx e l’altro su di un trattato scritto in latino e dedicato all’istituzione del cardinalato. Inaspettatamente prevalse quest’ultimo. Ricordo che Adriano Sofri rinunciò al seminario”.

Sa perché?
“No, ma suppongo ci fosse in quel momento un interesse più per Marx che per i principi della Chiesa”.

Cantimori aveva tradotto insieme alla moglie alcune parti del “Capitale”. È singolare per uno che aveva subito un certo fascino del nazionalsocialismo.
“Passò da quel mondo agli interessi per il comunismo”.

Perché respinse la cultura liberale?
“Non l’amava. Per lui era la cultura delle anime belle. Cantimori era interessato al realismo della politica e ai rapporti di forza. La vaporosa idealità gli era estranea. Citava la moglie. Fu Emma Mezzomonti, che sposò in seconde nozze, ad avvicinarlo al Pci. Emma fu un membro importante del partito durante la clandestinità. Germanista. Resta una delle figure più misteriose del Novecento”.

Cantimori le parlò mai del suo passato?
“No, non amava parlare di sé. Ma era un uomo tormentato dai suoi errori. Come pure tormentate erano le sue lezioni. Parlava a voce bassissima e spesso si mangiava le parole. Ma aveva la vocazione autentica dello studioso. Anche nei suoi scritti sul nazismo, passati al setaccio, c’era la volontà di capire”.

Beh, la voce nel “Dizionario di politica” dedicata alla parola “Onore” non era solo un desiderio di capire.
“Prevale un’impressione di neutralità, e il bisogno di tenere a bada il “furibondo cavallo ideologico”.

Ritiene che il suo etilismo facesse parte di quel tormento cui accennava?
“Sinceramente non lo so. Era un alcolista che non si ubriacava. Al bar poteva cominciare al mattino con una razione abbondante di whisky o di gin. A volte gli capitava di addormentarsi durante la lezione. Nessuno osava svegliarlo”.

Ho insistito molto su Cantimori perché in fondo fu lui a orientarla negli studi sull’inquisizione.
“È stato un maestro imprescindibile. Quanto a me credo di aver dimostrato che l’inquisizione in Italia sia stata diversa da quella spagnola”.

Diversa in che senso?
“Più blanda quella romana. Pensi all’istituto della confessione. Spesso bastava che l’eretico si pentisse perché fosse perdonato o pagasse un prezzo molto basso. È un tratto che diverrà tipico della storia italiana”.

Che vantaggio ne traeva la Chiesa?
“La confessione quasi sempre si trasformava in delazione. L’inquisizione poteva così conoscere la realtà
ereticale. Controllarla e debellarla”.

Immagino abbia letto Dostoevskij?
“Sono stato un precoce esegeta dei suoi romanzi”.

La figura del Grande Inquisitore che tratteggia?
“Credo che avesse il compito di tenere il Cristo lontano dalle coscienze. Del resto, tutto il processo della Controriforma fu il progressivo rompersi del rapporto tra le coscienze dei credenti e la Bibbia. Fino agli anni Cinquanta dello scorso secolo occorreva chiedere il permesso al vescovo per leggere il testo sacro”.

Oggi sembrerebbe assurdo un vincolo del genere.
“La storia della Chiesa è piena di divieti. Pensi all’Anima. Per tutto il Quattrocento la si irrise. Pomponazzi si spinse fino a parlarne in termini di mortalità. Poi, nel 1513, il papa decretò, contro gli averroisti, la sua immortalità. Finì così la libertà dei poeti e dei filosofi”.

Che cosa è la verità storica?
“C’è una verità di fatto. Una certa cosa è avvenuta un certo giorno”.

Una verità minima.
“La storiografia dell’800 ha inseguito la verità massima. Cercare i documenti e in virtù di essi raccontare la Storia. Nel ‘900 si affaccia la scienza del falso”.

Ossia?
“Il falso diventa il centro di una storia possibile. Marc Bloch analizzò a fondo il fenomeno, in particolare in quel libro meraviglioso dedicato ai Re taumaturghi. Erano i sovrani di Francia che praticavano il rito della guarigione dalle scrofole degli ammalati”.

Il potere faceva miracoli.
“Appunto. I nostri Savoia impararono da quel modello quando favorirono la devozione per la Sacra Sindone”.

E dopo il falso?
“Si è passati al finto. Si è passati alla storia delle rappresentazioni mentali”.

Si spieghi.
“Prima ancora che nella realtà la storia, a volte, nasce nella nostra testa. Solo successivamente diviene un fatto storico. Le leggi razziali furono la conseguenza storica, dunque reale, di un paradigma immaginario: che l’ebreo fosse per natura un essere infido e il suo sangue marcio”.

Fu un modo impietoso di guardare alla storia di un popolo.
“Il cristianesimo, e in particolare il cattolicesimo, non ha mai conosciuto la compassione”.

Ne è sicuro?
“La compassione è la piena accettazione dell’altro. Anche del diverso. Il cattolicesimo conosce solo la pietà che è un gesto di condiscendenza, un rapporto tra diseguali”.

Ha sofferto la diseguaglianza?
“Sì, e ho cercato di combatterla. Sono nato su una collina della Toscana, a Lazzeretto, non lontano da Livorno. Il nome è emblematico. In origine era il luogo dove venivano seppelliti i morti per la peste del 1630. Se vuole tutto ha origine da quella emarginazione. È curioso”.

Cosa?
“Che al mio paese si festeggi la liberazione non il 25 aprile del 1945 ma il 2 settembre del 1944. Perché grazie agli alleati ci liberammo in anticipo dalla presenza dei tedeschi. La notte prima nessuno del paese dormì. C’era forte inquietudine. Ero bambino e ricordo la nonna e la mamma agitarsi su un giaciglio di fortuna in cantina. Mio padre con il fucile a fare la guardia. Qualche giorno prima una banda ubriaca di SS aveva rastrellato e catturato in paese un po’ di gente. Tra cui mio padre. Alcuni furono fucilati. Pochi, e mio padre tra essi, miracolosamente si salvarono. E ora era lì con il fucile a difendere le nostre vite. Fu così che uscimmo dall’ombra e dalla dittatura”.

Chi è lo storico?
“Per lungo tempo, almeno in una certa tradizione, era colui che legittimava il potere”.

Forse oggi deve delegittimarlo?
“Non lo so. Qui forse le ragioni non dico di una sconfitta ma di un disorientamento. Si è aperta la stagione di un mestiere inutile che rivela tuttavia una residua possibilità”.

Quale?
“Impedire allo sguardo sul presente di essere troppo povero”.

Riesce in questo compito?
“Ci provo, ma è sempre più difficile scendere in profondità. Tutto spinge verso la superficie. Ho 76 anni. Le forze digradano. E la vecchiaia incombe”.

Come se la immagina?
“C’è poco da immaginare. Si aggira e annusa l’aria. Oggi ne ho un’idea diversa rispetto al mondo da cui provengo. Del mio passato non è sopravvissuto quasi nulla. Nella casa dove sono cresciuto c’erano ancora gli attrezzi da lavoro che sono scolpiti sulle cattedrali medievali. Un altro mondo. Penso che allora la vecchiaia si iscrivesse in un processo naturale. I nostri nonni invecchiavano come alberi. E c’era una fraternità tra gli uomini che non c’è più”.

Davvero non resta più nulla?
“Per dirla ironicamente la vecchiaia oggi arriva a nostra insaputa. Non si distingue dalle altre età. La camuffiamo. La allontaniamo. La rimuoviamo. Inseguiamo un’idea di immortalità. Dimenticando il numero dei nostri anni. Poi di colpo arriva la decadenza. Quella parola, che avevamo cancellato, come una raffica di vento spazza via il presente. È l’immagine di un cappello che non riusciamo più ad afferrare. Vola. Vola. Vola. Forse è il momento di lasciarlo andare”.

Fonte

Appuntamenti e Rassegne

Cantieri di Storia 2019

Si è svolto presso l’Università degli studi di Modena la decima edizione dei “Cantieri di Storia”, promossi dalla società Italiana per lo studio della storia contemporanea (SISSCO) e Università di Modena. All’interno del convegno ha relazionato anche il nostro Presidente Giuseppe Ferraro con un intervento dal titolo: “Il giglio sacro. I Borbone e il discorso religioso legittimista in Calabria dopo il 1861”.

Comunicati Stampa

Comunicato Stampa: Riparte l’attività dell’Istituto per l’anno 2019-2020.

Cosenza, 20/09/2019. Riparte l’attività dell’Istituto per la storia del Risorgimento Italiano – Comitato Provinciale di Cosenza per l’anno 2019-2020. È fresco di nomina anche il suo nuovo presidente nella persona del Prof. Giuseppe Ferraro, giovane storico originario di Longobucco, da anni impegnato nella ricerca storica, nella didattica della storia e nella valorizzazione culturale del territorio, in corsi di formazione del personale docente e degli studenti. A Ferraro e al consiglio direttivo sono subito giunti gli auguri di buon lavoro da parte del prefetto Francesco Paolo Tronca, commissario straordinario dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano di Roma. In questa settimana Ferraro ha già indicato una serie di attività che l’Istituto porterà avanti per il periodo 2019-2020 insieme al consiglio direttivo, formulando anche gli auguri agli studenti per l’inizio del nuovo anno scolastico e per il prossimo anno accademico nelle università calabresi. L’Istituto per la storia del Risorgimento italiano è una delle più antiche istituzioni culturali e di ricerca presenti in Italia, nato nel 1906. Ha sede a Roma nel complesso monumentale del Vittoriano, il presidente è nominato dal ministro per i Beni e le attività culturali, gestisce il Museo del Vittoriano. Il Comitato provinciale di Cosenza dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano ha una storia decennale, tra le sue finalità, come si evince dall’art. 1 dello statuto, si evidenziano quelle: di promuovere e facilitare principalmente gli studi sulla storia d’Italia del periodo preparatorio dell’Unità e dell’Indipendenza sino al termine della Prima guerra mondiale. Considerando però che tutta la Storia è storia contemporanea, ovvero che le domande sul passato muovono sempre da esigenze dell’attualità, promuove e facilita gli studi e le ricerche anche su tutta la Storia moderna e contemporanea fino ai giorni nostri (per una maggiore precisione dal Settecento all’età contemporanea), raccogliendo documenti, pubblicazioni, cimeli, curando edizioni di fonti e di memorie, organizzando congressi scientifici, attività di ricerca e di didattica, percorsi di cittadinanza e costituzione, corsi di formazione per studenti e docenti, seminari e convegni, attività di alternanza scuola lavoro, sostegno per tirocini formativi rivolti gli studenti delle lauree triennali e magistrali, post-laurea e per la realizzazione di percorsi didattici, la stesura di tesi di laurea e dottorali o pubblicazioni che hanno come finalità la promozione del territorio regionale calabrese e non solo. Al suo interno sono attivi anche un laboratorio per lo studio delle classi dirigenti, un osservatorio sull’attualità con speciale riferimento ad alcune problematiche come le migrazioni, il neoborbonismo, i modelli di comunicazione, per la formazione permanente dei docenti, per l’insegnamento della storia e della didattica.

Tutta l’attività del Comitato provinciale di Cosenza è supportata e monitorata da un Comitato scientifico e da una Commissione didattica. I due gruppi vedono la collaborazione, il confronto e attività di lavoro, dei principali studiosi del periodo storico e delle problematiche trattate. Il nuovo presidente ha dichiarato che l’Istituto, per meglio espletare le sue finalità, deve portare avanti un’azione omogenea su tutto il territorio. Un territorio si valorizza – ha ribadito Ferraro – e si sviluppa solo conoscendolo, la storia e la cultura, sono le due chiavi fondamentali della porta dello sviluppo che deve essere economico – turistico, ma anche umano, sociale e culturale.

Dylan Brunetti

Buona Lettura

Buona lettura. Il Palio di Siena – Una Festa Italiana.

Oggi, non a caso, considerando che è il Giorno del Palio di Siena, per la nostra rubrica Buona Lettura suggeriamo “Il Palio di Siena, Una Festa Italiana” di Duccio Balestracci. Un libro affascinante che oltre a ripercorrere la storia del Palio di Siena, approfondisce i motivi per i quali questa giostra medievale ha resistito negli anni nella città, alimentata da uno stile di vita – quello legato alla contrada – che non si è perso con il passaggio alla modernità.

Il Palio di Siena non è una corsa di cavalli. O meglio: sì, è una corsa di cavalli, ovviamente, ma la galoppata che scatena la passione dei senesi e la curiosità di chi la segue è soprattutto un compendio, in poco più di un minuto, di una storia che non è fatta solo di cavalli che corrono e che non è neppure solo senese. Il Palio è un caleidoscopio attraverso il quale possiamo fare un viaggio nel tempo, in secoli di feste italiane.

Il Palio di Siena nasce nel Seicento e solo nell’Ottocento prende la sua attuale veste ‘medievale’. Paradossalmente diventa così ciò che nel Medioevo non era: una festa ‘fatta’ dal popolo, dal momento che fino al XVII secolo era una festa ‘offerta’ al popolo. Da questo punto di vista il Palio costituisce un esempio clamoroso di invenzione della tradizione. La festa senese, inoltre, non è mai stata sempre uguale a se stessa perché è stata ridefinita in tutte le sue componenti dalla storia dei tempi: quella nazionale e in qualche caso quella sovranazionale. La storia del Palio di Siena è, dunque, solo in parte storia che riguarda una singola città: per molti aspetti si tratta di una vetrina del modo in cui, nei secoli, si è trasformata la festa urbana e si è consolidato l’immaginario che essa ha suscitato. Ma come ha fatto una festa del tutto simile a una miriade di eventi analoghi a sopravvivere solo a Siena? Perché la contrada, il vero nucleo sociale aggregante del Palio, è riuscita qui a resistere e a costituire un modo di vivere che altrove si è perduto con il passaggio alla modernità? Una ricostruzione appassionante degli avvenimenti che contornano la corsa di cavalli più famosa al mondo insieme al racconto di quanto di vero, reale, semireale o totalmente fantasioso si è sedimentato intorno a questo evento, affascinando antropologi, giornalisti, scrittori, poeti, registi cinematografici e viaggiatori di ogni epoca.

Buona Lettura

Informazioni tratte da Laterza

Buona Lettura

Buona Lettura. La guerra per il Mezzogiorno

In questo primo appuntamento della rubrica Buona Lettura, suggeriamo “La guerra per il Mezzogiorno” di Carmine Pinto.

La guerra per il mezzogiorno

L’opera edita da Laterza, pone al lettore la domanda: il brigantaggio fu l’eroica resistenza meridionale al colonialismo sabaudo o la sfida allo Stato di bande criminali?

La guerra per il Mezzogiorno concluse la crisi del Regno delle Due Sicilie, determinò il successo dell’unificazione italiana e marcò la complicata partecipazione del Mezzogiorno alla nazione risorgimentale. Iniziò nel settembre del 1860, dopo il successo della rivoluzione unitaria e garibaldina, e si protrasse per un decennio, mobilitando re e generali, politici e vescovi, soldati e briganti, intellettuali e artisti. Non fu uno scontro locale, perché coinvolse attori politici e militari di tutta la penisola e d’Europa, ma non fu neppure una guerra tradizionale: i briganti, le truppe regolari italiane, i volontari meridionali si sfidarono nelle valli e nelle montagne in una guerriglia sanguinosa, del tutto priva dei fasti risorgimentali. Si mescolarono la competizione politico-ideologica tra il movimento nazionale italiano e l’autonomismo borbonico; l’antico conflitto civile tra liberalismo costituzionale e assolutismo; la lotta intestina tra gruppi di potere, fazioni locali, interessi sociali che avevano frammentato le città e le campagne meridionali. Questo libro, per la novità di materiali e documenti usati e per la vastità delle ricerche compiute, offre una prospettiva sulla guerra di brigantaggio che innova interpretazioni fino a oggi date per acquisite.

Buona lettura

Informazioni tratte dal sito Laterza